RisiKo! è uno dei giochi di strategia da tavolo più famosi al mondo.
Venne creato dal regista francese Albert Lamorisse e venduto al pubblico per la prima volta in Francia nel 1957 come “La Conquête du Monde”, “La Conquista del Mondo”.
Inizialmente in Europa “La Conquête du Monde” non ebbe molta fortuna, eppure la Parker Brothers, una fabbrica di giochi da tavolo e giocattoli statunitense, volle scommettere sulle sue potenzialità comprandone i diritti e iniziando a commerciarlo già alla fine degli anni Cinquanta.
A quel tempo il gioco da tavolo aveva regole molto diverse da quelle odierne ed era nel complesso lento e macchinoso. La Parker Brothers (successivamente acquistata dalla famosa Hasbro) decise di cambiare alcune regole e rinnovare l’aspetto del gioco a cominciare dal suo nome: gli statunitensi decisero così di ri-battezzare il gioco da tavolo “Risk”, “Rischio”.
Risk sbarca in Italia sul finire degli anni Cinquanta.
La Confezione del RisiKo! classico |
Trasformatosi magicamente in RisiKo!, il gioco da tavolo diventa con il passare del tempo uno tra i più venduti nel paese.
Sebbene esistano alcune differenze tra la versione nordamericana e quella italiana, RisiKo! è in generale un gioco da guerra a turni, nel quale un massimo di sei giocatori si affrontano su un tabellone che rappresenta il mondo diviso in 42 territori raggruppati in 6 continenti. Ognuno di questi territori è occupato nello svolgersi del gioco da una o più “armate” appartenenti ad un giocatore.
Lo scopo del RisiKo! nostrano può essere la conquista di un certo territorio (o di un certo numero di territori) o la distruzione di un particolare giocatore.
La strategia, la capacità di negoziare, la freddezza e certamente la pura fortuna sono le caratteristiche che hanno reso famoso questo gioco in tutto il mondo.
Le regole sono di per sé molto semplici: dopo essersi divisi i territori assegnando alcune carte e aver distribuito gli obiettivi (che rimangono segreti per tutta la durata del gioco per ovvie ragioni) i giocatori, tenendo sempre bene a mente il proprio scopo finale, trascorrono la partita conquistando i territori posseduti dai propri avversari attaccandoli con le proprie armate.
Ogni territorio conquistato dà diritto ad una carta la quale, se opportunamente combinata con altre due, garantisce (a seconda dei “tris”) un particolare numero di “rinforzi” necessari per continuare la propria campagna militare.
Devo dire che questo semplice passatempo ha sempre suscitato un fascino particolare su di me.
Credo di non esagerare se dico che, dopo aver imparato a parlare e a camminare (cioè dopo aver imparato a rompere le scatole ai miei genitori), una delle primissime cose in cui mi sono dilettato fin da piccolo sia stato tirare i caratteristici dadi rossi e blu di RisiKo!
Giocavo a RisiKo! a casa mia, a casa di parenti e di conoscenti, dovunque mi capitasse l’occasione. Stavo giocando a RisiKo! con amici quando caddero le Torri Gemelle.
Proprio con i miei amici ho trascorso la maggior parte del tempo davanti a quel tabellone intento a conquistare il mondo e proprio grazie a loro ho imparato ad apprezzare le molteplice sfaccettature di questo gioco da tavolo che, da semplice passatempo, può facilmente trasformarsi in maestro di vita.
Si perché, sebbene uno dei miei amici ripeta spesso in un impeccabile dialetto romano che RisiKo! è un gioco in cui “conta per 30% la bravura e per il 70% il culo”, questo stesso gioco non può essere vinto senza una notevole dose di tattica.
Partendo da una situazione di sostanziale equilibrio io ed i miei amici (così come i giocatori di RisiKo! del resto del mondo) siamo obbligati ad usare ogni grammo della nostra astuzia per trionfare sull’avversario: c’è chi rafforza semplicemente i suoi confini in attesa che qualcun altro faccia la prima mossa, chi decide di attaccare velocemente e massicciamente per conquistare le carte necessarie per i tris, chi si concentra sull’aumentare l’estensione dei suoi domini per acquisire un numero sempre maggiore di armate a turno e così via.
Come noi, qualsiasi giocatore di RisiKo! tiene però a mente alcune regole non scritte che fanno parte dell’esperienza di ogni vero fan di questo gioco: come prima cosa mai e poi mai permettere agli avversari di capire il proprio obiettivo. Trascurare questa semplice regola potrebbe significare gravi conseguenze e forse pregiudicare la vittoria stessa.
Bisogna poi tenere a mente di confrontarsi in un gioco che può durare molto tempo, quindi mai agire d’istinto e aspettare anche diversi turni prima di fare la propria mossa.
Ancora: non esporsi mai troppo in attacco perché in Risiko in difesa si ha un vantaggio concreto e si può indebolire l’avversario anche rimanendo passivi. Bisogna anche “imparare a passare il turno”: non sempre i nostri attacchi vanno come vogliamo ma è inutile regalare un territorio e quindi una carta ad un avversario se vediamo che i dadi proprio non “girano” a nostro favore.
Ultimo ma non meno importante, cogliere l’occasione al volo e creare intese più o meno palesi che risultino utili per i nostri obiettivi immediati.
A questo punto, descritte sommariamente le regole del gioco e le strategie più utilizzate, non mi rimane che illustrare quelle che riconosco come le fasi di gioco che caratterizzano RisiKo! e che secondo me contribuiscono a renderlo unico e, in un certo qual modo, paradigmatico.
Esempio di "periodo di ostile convivenza" |
In una prima fase, che può durare anche diversi turni, i giocatori coesistono in uno stato di equilibrio più o meno stabile: tutti prendono un numero di armate più o meno simile e nessuno ha mai sfoderato un tris o una serie di tris in qualche modo determinanti per le sorti del gioco. Ognuno tenta con i propri mezzi di strappare almeno un territorio all’avversario, di conquistare una carta in più o un’armata supplementare da mettere ad ogni turno. Mi piace chiamare questa fase ancora fluida ed incerta il “periodo di ostile convivenza”.
Nella seconda fase il gioco comincia a prendere una piega particolare e le cose iniziano a farsi interessanti: per una combinazione di fattori (buon utilizzo delle proprie risorse, intelligente disposizione delle armate ma anche semplice “culo”) uno o più giocatori cominciano a mettere turno dopo turno un numero di armate sempre maggiore. Alcuni partecipanti vedono le loro risorse (armate, territori e carte) salire, altri vedono le loro possibilità assottigliarsi.
Chiamo questa fase “l’equilibrio infranto”.
A questo punto il gioco può continuare in due modi diversi: nel primo modo i partecipanti più forti affrontano una serie di turni “sfortunati”, perdono armate e territori e si ritorna nuovamente ad una fase simile a quella descritta nel “periodo di ostile convivenza”. Se tuttavia ciò non avviene si procede entrando nella terza fase.
In questa fase il tabellone appare molto mutato rispetto all’inizio del gioco. Un giocatore è riuscito infatti in un modo o nell’altro ad accumulare un numero tale di armate e di territori che supera di gran lunga quello dei suoi avversari. Questo giocatore ha un potere e un ascendente molto grande, dispone di più risorse dei suoi avversari e controlla un maggior numero di territori. Spesso, a seconda del suo obiettivo, può permettersi di concedere favori ad alcuni giocatori utili ai suoi scopi mentre può seriamente danneggiare altri giocatori da cui si sente minacciato.
Quando entriamo in questa fase io e i miei amici siamo soliti chiamarla “la fase del dittatore”.
Il Periodo di Ostile Convivenza
Il presidente della Repubblica Popolare Cinese Hu Jintao ha un importante appuntamento con la storia. È il 18 gennaio 2011 e per i successivi tre giorni sarà l’ospite d’onore del presidente Barack Obama nella cara vecchia America.
L’aereo del presidente cinese è appena atterrato e ad accoglierlo c’è una nutrita schiera di rappresentanti statunitensi capeggiati da niente di meno che il vice-presidente Joe Biden.
Hu Jintao sorride all’esercito di fotografi intenti ad immortalarlo mentre le telecamere diffondono la sua immagine in tutto il mondo.
La sua ultima visita negli States risale a circa cinque anni prima.
Hu ricorda molto bene quell’occasione. A quel tempo gli Usa gagliardi e spavaldi di George W. Bush lo avevano accolto con poca fanfara, liquidandolo con una semplice ed umiliante colazione di lavoro. La sua visita era poi stata costellata da un numero oltraggioso di gaffe di protocollo; tra le altre ad una cerimonia ufficiale era stato chiamato “presidente della Repubblica Cinese”. Ora, la Repubblica Cinese è il nome che gli abitanti di Taiwan danno alla loro isola. Per Hu Jintao Taiwan è parte integrante del suo paese, la Repubblica Popolare Cinese, come per noi la Lombardia e parte integrante dell’Italia. Per capirci meglio, è come se ad un evento internazionale di alto profilo Giorgio Napolitano fosse stato presentato come il presidente della “Padania Unita”.
Ma sono passati cinque lunghi anni e le cose sono molte cambiate. Hu Jintao lo sa bene.
La crisi economico-finanziaria del 2008 ha scosso gli Stati Uniti come neppure la seconda guerra mondiale era riuscita a fare. Basta guardare le ultime cifre sulla disoccupazione per domandarsi come faccia ogni giorno Obama a dormire la notte.
Il presidente Obama ospita Hu Jintao
nella visita di Stato più importante della sua amministrazione |
Lo stesso Obama, mentre Hu stringe mani e si gode la festa, è intento a rassettare la Casa Bianca per accertarsi che tutto sia in ordine in vista dell’importantissima cena di Stato che il presidente ha organizzato per il suo omologo cinese. Già. Niente uova strapazzate e bacon questa volta. Obama ha deciso di compensare la palese debolezza economica del suo paese elevando il profilo politico della visita e affogando il tutto nello champagne e nel caviale.
Gli Stati Uniti d’America stanno affrontando una serie di “turni” particolarmente sfortunati di questi tempi e le decisioni prese durante le amministrazioni Bush non hanno contribuito a rendere le cose più facili. L’attacco dell’11 settembre alle Twin Towers ha, secondo alcuni osservatori, scatenato una risposta troppo emotiva e poco ponderata da parte dei baldanzosi “yankee”, non troppo distante in effetti dall’atteggiamento di un giocatore di RisiKo! che, dopo aver ricevuto un attacco ad un suo territorio, si lascia prendere dalla rabbia e risponde ciecamente senza pensare alle conseguenze.
È opinione di diversi addetti ai lavori che gli USA abbiano perso un numero considerevole di “armate” in questi attacchi ma non abbiano guadagnato nessuna “carta” in cambio.
Nel frattempo, mentre gli States si accanivano su due singoli territori, molte cose erano cambiate sul resto del “tabellone”. La Repubblica Popolare Cinese, ad esempio, annuiva comprensiva verso gli statunitensi mentre questi decidevano di attaccare l’Afghanistan. Non importava che questo territorio confinasse con il loro, i cinesi pensavano al lungo periodo e, in silenzio e con discrezione, contemplavano il proprio “mazzo di carte”: tra le loro mani avevano infatti numerosi “tris” che aspettavano solo di essere “sfoderati”.
I cinesi amano tenere un basso profilo e non attirare troppo l’attenzione su di sé ma negli ultimi anni la loro influenza è aumentata indiscutibilmente e costantemente.
Così, mentre i nordamericani “esportavano” la democrazia in Afghanistan e in Iraq, c’era chi affermava senza mezzi termini che Bin Laden fosse la migliore cosa che fosse capitata ai cinesi i quali, silenziosi e laboriosi, costruivano le fondamenta di una nuova Cina.
Il famoso stratega cinese Sun Tzu una volta disse: “gli strateghi vittoriosi hanno già trionfato, prima ancora di dare battaglia; i perdenti hanno già dato battaglia, prima ancora di cercare la vittoria.”
Prendere tempo e far credere agli avversari di non essere una minaccia sono due delle abilità più grandi anche in un gioco come RisiKo! ed un must per qualsiasi giocatore che, dal periodo di ostile convivenza, voglia passare a quello dell’equilibrio infranto.
L’Equilibrio Infranto
Gli Stati Uniti d’America e la Repubblica Popolare Cinese hanno rispettivamente il primo ed il secondo PIL (Prodotto Interno Lordo) del mondo. Per essere più precisi, secondo l’economista Giovanni Somogyi, gli USA avevano nel 2008 un PIL che si aggirava intorno ai 14 trilioni di dollari mentre la Cina un PIL che superava gli 8 trilioni di dollari.
L’Italia aveva nello stesso periodo un PIL che superava di poco il trilione e mezzo di dollari. Paesi come l’Inghilterra, la Spagna e la Francia avevano un PIL simile al nostro.
Considerando il fatto che nello stesso 2008 il commercio mondiale aveva superato di poco i 70 trilioni di dollari e tenendo a mente che il PIL (globale) misura la dimensione complessiva della produzione di beni e servizi, può essere detto tranquillamente che gli USA e la Cina contribuivano già nel 2008 in maniera di gran lunga maggiore rispetto agli altri paesi al commercio mondiale.
Oggi, nel 2011, il PIL degli USA è variato di poco a causa della crisi economico-finanziaria del 2008 e paesi come l’Italia, la Spagna, la Francia e l’Inghilterra hanno subito un destino simile.
Invece, secondo l’IMF (International Monetary Fund) e il CIA World Factbook, il PIL della Repubblica Popolare Cinese era cresciuto fino a raggiungere i 10 trilioni di dollari sul finire del 2010.
È come se i cinesi, nell’arco di due anni, da possedere un PIL che era più o meno cinque volte quello italiano, avessero raggiunto un PIL equivalente a oltre sei Italie e mezzo.
Queste cose succedono quando il PIL di un paese cresce del 10% l’anno mentre altri paesi crescono poco o non crescono affatto.
Nel 2010 il PIL cinese è cresciuto del 10,3%: il 2010 è un anno in cui gli effetti della crisi si sono sentiti in maniera simile ai due anni passati.
Ora, nel secondo dopoguerra, nell’età d’oro del capitalismo nordamericano, gli USA crescevano al massimo del 5/6% l’anno. Ciò significa che la Repubblica Popolare Cinese sta crescendo in un periodo di crisi come questo ad un ritmo quasi doppio rispetto agli Usa nel loro periodo di “boom economico”.
Queste considerazioni aiutano a capire una questione di fondamentale importanza e spiegano in buona parte l’atteggiamento ambivalente della potenza statunitense nei confronti della Cina. Innanzitutto i nordamericani devono adattarsi ad uno stravolgimento geopolitico di considerevole portata. Per molti di loro riconoscere l’ascesa del dragone asiatico significa riconoscere il declino del proprio paese, sia come potenza economica, sia come “faro culturale” del mondo.
Eppure gli statunitensi hanno bisogno che la Cina cresca perché dipendono sempre di più dal colosso asiatico dal punto di vista economico e finanziario.
Nel mio piccolo capisco i sentimenti contrastanti degli statunitensi molto bene. Quando mi capita qualche buon turno a “RisiKo!” e vedo le mie armate crescere rispetto agli altri giocatori so di avere un margine di manovra maggiore rispetto agli altri. Ma prima o poi arriva sempre il momento in cui un mio amico mi raggiunge e in quel momento so di dovermi guardare le spalle.
Entrare nella fase dell’equilibrio infranto segna sempre una pietra miliare in ogni partita.
I giocatori sanno che alcuni di loro hanno fatto un passo in più verso la vittoria e tutti sono ansiosi di vedere come continuerà a quel punto la partita.
La Fase del Dittatore?
Sul finire del 2010 Beijing ha confermato la sua intenzione di costruire una grande portaerei da 64 mila tonnellate. Per il 2020 la Cina dovrebbe disporre di una flotta di sei portaerei, due delle quali da 93 mila tonnellate a propulsione nucleare.
Sempre alla fine del 2010 i vertici militari cinesi hanno presentato al mondo il J-20, un aereo stealth, invisibile ai radar, che può tenere testa all’F-22 statunitense. Questo mentre rendevano operativo il missile Dongfeng 21 D, con una gittata di 3 mila chilometri e a guida satellitare.
Il budget di cui dispone l'esercito cinese aumenta di almeno il 15% l'anno |
A tutto ciò i vertici militari cinesi vorrebbero aggiungere nei prossimi anni una sessantina di sottomarini nucleari che dal Giappone dovrebbero raggiungere la California passando per l’Australia.
Ora che è diventata la seconda potenza economica planetaria, alcuni esperti occidentali mostrano dati come questi per assicurare che la Cina è pronta a fare lo stesso sotto il versante militare.
Ma quella che per gli occidentali è una minaccia alla pace mondiale per i cinesi è la semplice, naturale conseguenza del loro incredibile sviluppo economico.
Hu Jintao, il nucleo della quarta generazione di leaders cinesi, sogna una Cina non solo prospera e coesa, ma anche sicura e rispettata in tutto il mondo. Eppure, mentre sale sulla macchina che lo porterà alla Casa Bianca, sa di dover affrontare domande scomode e dubbi amletici.
Durante la visita di quattro giorni negli States il presidente cinese dovrà difendere tenacemente la politica monetaria del suo paese, ribattere alle accuse di violazione dei diritti umani ed assicurare che il commercio tra gli USA e la Cina continuerà a fiorire senza provocare spiacevoli squilibri.
I due paesi hanno bisogno l’uno dell’altro, sia Hu che Obama lo sanno molto bene, ma sempre più problemi stanno nascendo in quel rapporto fatto di precari equilibri, sorrisi e muscoli tesi che ormai da anni viene chiamato con ansia e speranza “Chimerica”.
A questo proposito fa riflettere l’affermazione fatta nel Financial Times dal comandante statunitense delle forze del pacifico, Robert Willard, il quale palesava le sue preoccupazioni riguardo la crescente potenza militare cinese. Egli affermava: è in moto un conto alla rovescia nel quale tutto appare destinato a mettere fine alla nostra libertà di movimento nell’intero quadrante occidentale e asiatico.”
Le diverse generazioni di leaders cinesi sono riuscite per oltre trenta anni a giocarsi le loro “carte” molto bene e ad evitare gravi battute d’arresto: hanno accumulato “armate” e “territori” e sono riuscite a proiettare la loro influenza su quel “tabellone” che è il mondo intero.
Ma ormai da diverso tempo gli occhi di tutti i “giocatori” sono puntati sul dragone dell’est, sicuri come non mai che i prossimi “turni” saranno di fondamentale importanza per capire se siamo destinati o meno ad entrare nella prossima fase del “gioco”.
Mix
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